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Cosa visitare

Cassero ed ex Palazzo Comunale

La torre del Cassero è stata costruita tra il 1382 e il 1385, per volere di Giovanni Da Varano. Faceva parte di un ampio sistema di fortificazioni che comprendevano le mura del Castello Raimondo ed un’alta Torre, oggi inglobata nel campanile di S. Biagio.

Questo sistema era collegato all’Intagliata, una linea di torri, fossati e muraglioni fatti edificare dai Da Varano, da Pioraco fino a Torre Beregna, a difesa di Camerino. Il Cassero è costituito da una torre con base a scarpa e di una seconda e più piccola torre, sovrapposta all’altra. Entrambe erano provviste di difesa piombante, attraverso caditoie tra i beccatelli, protette da merli alla ghibellina. La struttura, in conci di pietra arenaria, è stata restaurata nel 1927, 1976 e dopo il sisma, nel 1999.

Il Palazzo comunale è stato edificato tra il 1867 e il 1870 e resta di fianco al Cassero, al posto dell’antica porta d’accesso al castello, demolita con ampie porzioni di mura. L’adiacente Stazione Ferroviaria è stata inaugurata nel 1885 ed è stata costruita sopra un terrapieno di riporto che ha occultato i fossati e le mura occidentali dell’antico castello.

Piazza della Repubblica con la fontana dei Leoni

Nella piazza della Repubblica, la piazza principale di Castelraimondo, situata di fronte al Cassero,si trova la Fontana di mostra, detta anche dei Leoni, per la presenza di quattro bei leoni in ghisa, costruita nel 1893 in contemporanea all’acquedotto comunale.

La chiesa di San Biagio

La prima chiesa a servizio del borgo fortificato di Castro Raymundi, fu edificata probabilmente all’interno delle mura castellane, ma non se ne conosce l’esatta data di fondazione.

L’edificazione avvenne sulle preesistenze del castello fortificato denominato Raimondo inglobando, al suo interno, parte delle torri. A seguito del terremoto del 1799 la chiesa, fortemente danneggiata, venne ampliata e venne realizzata la facciata principale con lesene, marcapiani e timpano. Il disastroso incendio del 1906 ha portato poi ad una quasi completa ricostruzione sia delle strutture portanti, sia dell’ornato interno e alla variazione degli altari, privati delle opere d’arte originarie. La chiesa di San Biagio si presenta a navata unica con 3 altari a nicchia sui lati laterali ed abside semicircolare. Il soffitto è in cannucciato a volta a tutto sesto con lunette finestrate. Sul lato destro, verso levante, dall’aula si accede alla sagrestia e da questa al campanile.

Il castello di Lanciano

Sorge a ridosso della riva sinistra del fiume Potenza in una posizione strategica. Fu la famiglia nobiliare dei Varano ad essere stata la prima artefice riconosciuta della sua edificazione con Giovanni Varano detto lo Spaccaferro attorno al 1381 che, in una area strategicamente importante trovandosi nei pressi del transito delle strade per Pioraco, Matelica e la capitale Camerino, a difesa del confine Nord-orientale della signoria camerte lo eresse con possenti mura, con torri e con canalizzazioni d’acqua; in particolare eresse la linea difensiva dell'”Intagliata”. Si tratta di un lungo fosso che rendeva ancor più difficoltoso il transito agli aggressori anche attraverso il riempimento con sterpaglie e alberi.

Giulio Cesare Varano fece dono del castello alla moglie Giovanna, figlia di Sigismondo Malatesta da Rimini, la quale apportò imponenti restauri per trasformarlo in un maniero di gusto rinascimentale attorno al 1489. A ricordare del presente restauro vi è una lapide fatta fare da Giovanni Maria Varano alla madre Giovanna inserita nel loggiato del castello. Dopo la dissoluzione della signoria di Camerino e della conseguente caduta dei Varano siamo a conoscenza anche dei successivi proprietari che risultano fino al 1621 la famiglia Voglia, fino al 1680 i Rosa, fino al 1754 dei Rossetti ed infine dei Bandini che lo acquistarono da papa Benedetto XIV.

Fu proprio Alessandro Bandini che apportò le modifiche più imponenti che ci consegnano il castello così come lo vediamo oggi. Il restauro seguito dall’architetto camerte Giovanni Antinori trasformò il castello nelle forme che oggi possiamo vedere. I marchesi Bandini, avendo in proprietà anche i territori dove si trovava l’antica importante città romana di Urbs Salvia, trafugarono dagli scavi preziose statue che oggi possiamo trovare ad ornare le sale della villa, tra cui la più bella risulta essere il “Salone delle feste”, ma anche la “Sala cinese” ed altri importanti luoghi. L’interno della villa conserva ancora oggi questi ricchi addobbi, numerosi ricchi dipinti, smaglianti arredi tipici del periodo di fine XVIII secolo conservato tutto ancora in ottimo stato.

Infine il castello immerso nelle alte colline che uniscono l’abitato di Castelraimondo alla città di Camerino presenta un esteso parco fatto di secolari alberi attraversato da sentieri e canali d’acqua dando una forte suggestione di amenità a chi lo attraversa.

Il Museo Nazionale del Costume Folcloristico

Il Museo Nazionale del Costume Folcloristico porta con sé due novità rispetto all’idea “classica” di museo: in primo luogo i soggetti che partecipano alla sua creazione non rappresentano una comunità “locale” o “territoriale”, ma una comunità “diffusa”, “immaginata”, tenendo presente il fatto che i materiali esposti sono stati e saranno donati dai gruppi folcloristici provenienti dall’intero territorio nazionale. In questo senso la F.A.F.It. (Federazione Associazioni Folkloriche Italiane) e Castelraimondo stanno costruendo quello che potrebbe essere definito come un “museo della contemporaneità di tutti noi”. In secondo luogo verranno esposti costumi riprodotti ma ancora in funzione, perché utilizzati e riutilizzabili tutt’oggi dagli stessi gruppi folcloristici.

Chi visiterà il museo potrà respirare un’aria nuova, nell’atmosfera di consapevolezza in cui le dinamiche del “folclorismo” (l’aggregazione sociale, la festa, la danza, la musica, il canto) risultano “storicizzate” e riportate al presente. Un museo dell’’oggi, dunque, in cui il visitatore potrà scoprirsi e riscoprirsi nella sedimentazione diacronica delle sue pulsioni identitarie, guardando in modo nuovo quel folclorismo che troppo spesso gli è stato presentato come folklore.